Collezione microbica ENEA
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Biorisanamento: biotecnologie microbiche per l’ambiente

Un intervento di bonifica del suolo, che risponda a criteri di sostenibilità, implica la salvaguardia delle funzioni del suolo e, quindi della sua qualità. I trattamenti con tecniche di tipo chimico-fisico, a causa dei prodotti usati o del calore elevato, restituiscono un suolo privato delle sue funzioni e della fertilità, poiché privo della flora microbica e, quindi, delle funzioni che essa svolge sul pianeta, in primis il riciclo dei nutrienti e la trasformazione del suolo.

Il biorisanamento è l’unica tecnologia in grado di trasformare i contaminanti senza danneggiare le funzioni del suolo, ma non sempre è applicabile. La sua fattibilità va attentamente verificata ed è correlata a diversi fattori, tra cui il grado di rischio specifico, poiché i tempi del biorisanamento spesso non sono compatibili con quelli dell’urgenza.

La ricerca di ceppi e consorzi microbici con caratteristiche funzionali di interesse per applicazioni nel campo del risanamento ambientale è indirizzata verso l'esplorazione di ambienti prevalentemente industriali affetti da contaminazioni storiche. Tali condizioni nel tempo modellano, per pressione ambientale, le popolazioni microbiche favorendo l’instaurarsi di comunità in grado di adattarsi a condizioni spesso proibitive, dovute alla presenza di elevate concentrazioni di contaminanti organici, di metalli pesanti e anche di sostanze xenobiotiche. I microrganismi nativi di questi siti sono candidati ideali per interventi di bio-risanamento. I ceppi sono stati raccolti nell’ambito di progetti nazionali e internazionali da miniere abbandonate presenti in Sardegna, nella zona mineraria del Sulcis-Iglesiente, ma anche in Svezia, Germania, Polonia, Wales e Romania; molti ceppi sono stati isolati da siti industriali italiani.
L’ENEA conduce studi di fattibilità attraverso l’adozione di ecosistemi modello (Microcosmi terrestri-ASTM E1197-872004), che permettono di ottenere risultati trasferibili direttamente alla scala di campo, prevenendo errori ed insuccessi frequenti nel passaggio di scala. L’approccio sviluppato mira a utilizzare la comunità microbica già presente (autoctona), potenziando le funzioni metaboliche necessarie per la trasformazione degli inquinanti presenti nel suolo o nell’acqua da trattare. Ad esempio, se si deve bonificare un suolo contaminato da petrolio, o da suoi derivati, bisogna cercare batteri capaci di utilizzare il petrolio come fonte di crescita, quindi crescerli in grandi quantità e reimmetterli nel suolo (bioaugmentation). Una volta nel terreno, i batteri inizieranno la degradazione delle lunghe catene del petrolio trasformandole in molecole via via più semplici, le quali saranno utilizzate da altre specie per crescere. Si crea così un network di processi metabolici tra specie diverse che porterà alla bonifica del suolo. Lo stesso avviene per altre tipologie di inquinanti.
Sono attualmente in corso sperimentazioni nell’ambito del progetto PNRR PE3-RETURN, per la selezione di formule microbiche arricchite di batteri produttori di biosurfattanti per il biorisanamento di suoli contaminati da IPA o TPH.

Fitorisanamento assistito da microrganismi.

Durante il progetto Europeo UMBRELLA del FP7 (2009-2012), focalizzato sul recupero di aree di miniera in Europa, sono stati allestiti campi sperimentali in 6 diversi siti europei. Nel sito italiano della ex miniera di Ingurtosu, in Sardegna, sono state utilizzate due piante pioniere endemiche associate a un consorzio di batteri nativi, capaci di fissare l’azoto dall’atmosfera, produrre molecole utili alle piante e mobilizzare nel suolo elementi importanti, come il fosforo e il potassio. L’associazione di piante e microrganismi è in grado di rivegetare il suolo contaminato e di ridurre la mobilità dei metalli pesanti, limitandone la dispersione nel suolo e nelle acque.

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